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Il Museo della Guerra Bianca in Adamello, con sede a Temù (Provincia di Brescia), in Alta Val Camonica, è dedicato alla conservazione ed alla valorizzazione del patrimonio storico della Prima guerra mondiale, ed in particolare della cosiddetta “Guerra Bianca in Adamello”, ovvero il fronte d’alta montagna che si estende dal Passo dello Stelvio al Lago di Garda. Il Museo della Guerra Bianca nasce proprio con l’intento di non dimenticare quel drammatico evento che sconvolse e spazzò via moltissime vite umane.

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Sponde del fiume Frigidus (Vipacco), al di qua delle Alpi Giulie, mattino del 5 settembre 394 d. C. Due eserciti, entrambi “romani” di nome, ma in effetti largamenti barbarici per composizione etnica, consuetudini e mentalità, si fronteggiano minacciosamente presso questo affluente dell’Isonzo che, da sempre, costituisce la “porta” per l’invasione dell’Italia da parte di popoli ed eserciti provenienti da Nord e da Est. Si potrebbe pensare – e, per certi aspetti, è proprio così – a uno dei tanti scontri di potere fra imperatori più o meno legittimi, ovvero fra usurpatori e tiranni come ne ha visti tanti la storia del Basso Impero, da Massimino il Trace in poi. Posta in gioco immediata: la grande e ricca Aquileia, sede pochi anni prima (nel 381) di un grande concilio di vescovi cattolici contro l’eresia ariana; obiettivo finale: il possesso di Roma e dell’Italia e, quindi, la signoria assoluta sull’Impero. In realtà, si tratta di una svolta epocale: per l’ultima volta nella storia del mondo antico stanno per darsi battaglia un esercito pagano ed uno cristiano.

Combattuta tra il 5 e il 6 settembre 394, nei pressi dell’attuale fiume Isonzo e che vide opporsi l’imperatore romano d’Oriente Teodosio I a capo dell’esercito cristiano, ai soldati pagani guidati dall’usurpatore del trono dell’Impero romano d’Occidente, Flavio Eugenio.

La battaglia inizia bene per i pagani, ma i cronisti dell’epoca raccontano che un vento improvviso gettò scompiglio fra le loro file, le frecce scagliate non riuscivano a raggiungere il nemico. Ancora più sfavorevole fu il tradimento di un reparto che doveva prendere alle spalle Teodosio, ma che per fedeltà al vero imperatore (Teodosio), si schierò dalla sua parte. La disfatta di Eugenio e del suo comandante, il magister militum di origine franca Arbogaste, riconsegnò per l’ultima volta l’impero ad un unico imperatore. Inoltre, la battaglia fu l’ultimo tentativo di resistenza alla diffusione del Cristianesimo nell’impero e, perciò, decise del destino della religione cristiana in Occidente.

Il cosiddetto Muro di Gorizia è, in realtà, una recinzione – un muro in calcestruzzo di alcuni centimetri sormontato da una ringhiera ad altezza d’uomo – costruita nel 1947 e collocata lungo la frontiera italo-jugoslava all’interno della città di Gorizia.

Il “muro” separa l’abitato goriziano rimasto italiano dai quartieri periferici e dalla stazione ferroviaria della linea Transalpina, che furono annessi al termine della seconda guerra mondiale alla Jugoslavia.

Nel 2004, a seguito dell’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, ne è stata smantellata la porzione che divideva in due il piazzale della Transalpina.

La città di Nova Gorica (Nuova Gorizia) sorse successivamente alla separazione con l’intenzione di contrapporre simbolicamente i progressi del mondo socialista a quello capitalista, e la piazza della Transalpina divenne uno dei simboli della separazione politico-ideologica tra l’Europa occidentale e quella orientale durante gli anni della guerra fredda.

La battaglia di Cortenuova fu uno degli scontri più cruenti del XIII secolo verificatosi il 27 e 28 novembre 1237 tra le forze dell’imperatore Federico II e della Lega Lombarda.

L’alleanza di comuni italiani venne sconfitta e gli imperiali catturarono molti prigionieri, anche se questo non pose fine alla loro ribellione.

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Nel nome del Signore, così sia. Io giuro sui sacri Evangeli, che non farò pace, tregua o trattato con Federico Imperatore, nè col di lui figliolo, nè colla di lui moglie, nè con altri della sua famiglia, nè per suo conto nè per parte altrui; e di buona fede, con tutti i mezzi che saranno in mio potere mi adoprerò ad impedire che nessun esercito, piccolo o grosso, di Lamagna o di qualunque altra contrada dell’Impero, che trovisi al di la dei monti, entri in Italia; e ove si presenti un esercito, io farò guerra viva all’Imperatore ed a tutti i suoi partigiani, insino a chè il suddetto esercito esca d’Italia; e ciò farò pure giurare ai miei figli, appena compiranno i 14 anni.

Il giuramento di Pontida è stata una cerimonia che avrebbe sancito il 7 aprile 1167 nel piccolo comune vicino a Bergamo l’alleanza tra i Comuni lombardi contro il Sacro Romano Impero di Federico Barbarossa. La coalizione nata a Pontida è conosciuta come Lega lombarda.

La Lega Lombarda fu un’alleanza formata il 7 aprile 1167 presso l’abbazia di Pontida, e formata da Milano, Lodi, Ferrara, Piacenza e Parma. Il 1 dicembre 1167 venne allargata tramite l’alleanza con la Lega Veronese ed altri Comuni, che portò nella Lega ben 26 (in seguito 30) città dell’Italia settentrionale, tra cui Crema, Cremona, Mantova, Piacenza, Bergamo, Brescia, Milano, Bologna, Padova, Reggio nell’Emilia, Treviso, Venezia, Vicenza, Verona, Lodi, e Parma e che venne detta Concordia.

L’han giurato li ho visti in Pontida
convenuti dal monte e dal piano.
L’han giurato e si strinser la mano
cittadini di venti città
Oh spettacol di gioia! I Lombardi
son concordi, serrati a una Lega.
Lo straniero al pennon ch’ella spiega
col suo sangue la tinta darà.
Più sul cener dell’arso abituro
la lombarda scorata non siede.
Ella è sorta. Una patria ella chiede
ai fratelli, al marito guerrier.
L’han giurato. Voi donne frugali,
rispettate, contente agli sposi,
voi che i figli non guardan dubbiosi,
voi ne’ forti spiraste il voler.
Perchè ignoti che qui non han padri
qui staran come in proprio retaggio?
Una terra, un costume, un linguaggio
Dio lor anco non diede a fruir?
La sua patria a ciascun fu divisa.
E’ tal dono che basta per lui.
Maledetto chi usurpa l’altrui,
chi il suo dono si lascia rapir.
Sù Lombardi! Ogni vostro Comune
ha una torre, ogni torre una squilla:
suoni a stormo. Chi ha un feudo una villa
co’ suoi venga al Comun ch’ei giurò
Ora il dado è gettato. Se alcuno
di dubbiezze ancora parla prudente,
se in suo cor la vittoria non sente,
in suo cuore a tradirvi pensò.
Federigo? Egli è un uom come voi.
Come il vostro è di ferro il suo brando.
Questi scesi con esso predando,
come voi veston carne mortal.
– Ma son mille più mila – Che monta?
Forse madri qui tante non sono?
Forse il braccio onde ai figli fer dono,
quanto il braccio di questi non val?
Su! Nell’irto increscioso allemanno,
su, lombardi, puntate la spada:
fare vostra la vostra contrada
questa bella che il cel vi sortì.
Vaghe figlie del fervido amore,
chi nell’ora dei rischi è codardo,
più da voi non isperi uno sguardo,
senza nozze consumi i suoi dì.
Presto, all’armi! Chi ha un ferro l’affili;
chi un sopruso patì sel ricordi.
Via da noi questo branco d’ingordi!
Giù l’orgoglio del fulvo lor sir
Libertà non fallisce ai violenti,
ma il sentier de’ perigli ell’addita;
ma promessa a chi ponvi la vita
non è premio d’inerte desir.
Giusti anch’ei la sventura, e sospiri
l’allemanno i paterni suoi fuochi;
ma sia invan che il ritorno egli invochi,
ma qui sconti dolor per dolor.
Questa terra ch’ei calca insolente,
questa terra ei morda caduto;
a lei volga l’estremo saluto,
e sia il lagno dell’uomo che muor.

Giovanni Berchet